02/05/2024
Essere malati in una grande città si dice che possa essere un piccolo vantaggio in quanto, essendoci più medici e più centri, il paziente abbia maggiori opportunità per ricevere le cure migliori. E fors'anche una diagnosi precoce. Per Elena è stato così, grazie alla struttura all’avanguardia del Bambini Gesù di Roma. Oggi ha 6 anni e da oltre 5 ha la cistinosi. Come tutti, le prime avvisaglie arrivano nelle fasi della crescita. “Ci siamo accorti della malattia quando nostra figlia aveva all’incirca 9 mesi – racconta la giovane mamma -; nel routinario controllo di crescita dalla pediatra di base si è evidenziato un ritardo di crescita. Noi genitori notavamo, nella quotidianità, una elevata poliuria, grosse difficoltà nello svezzamento, continua sete, vomiti frequenti. Il consiglio della pediatra è stato di effettuare delle analisi delle urine e del sangue per un sospetto di diabete. Da queste è risultato che la bambina era altamente disidratata e non c’era presenza di diabete.
Ci è stata quindi consigliata una visita da un nefrologo che abbiamo effettuato presso l’Ospedale Bambino Gesù di Roma”. E qui la ricerca della malattia è stata tutto sommato breve. “Nel nostro caso (siamo di Roma e ci siamo rivolti all’OPBG) la diagnosi è stata semplice perché il professore che ha effettuato la visita è un esperto internazionale della patologia e l’Ospedale è il centro di riferimento nazionale. Ci ha programmato rapidamente un ricovero dove sono state effettuate tutte le analisi e gli esami del caso per confermare il sospetto. La diagnosi di cistinosi è arrivata dopo una settimana, quando la bambina aveva quasi un anno”. E la vita da quel giorno cambia.
Per tutti, anche se per Elena che è ancora così piccola non è facile capire cosa.
“Non possiamo dire se la bimba ha subito cambiamenti: sicuramente non potrà vivere una vita “normale” nel senso culturalmente diffuso. Dovrà necessariamente seguire una terapia
quotidiana abbastanza invasiva che, però, le consentirà di attenuare (e non eliminare) le problematiche fisiche che la malattia comporta; dovrà sopportare deficit fisici importanti che comprendono problemi renali, difficoltà di crescita, fotofobia, inappetenza, varismo, ecc.… dovrà sottoporsi ad esami continui e ricoveri…”. Insomma, non sarà facile. E non lo sarà nemmeno per i genitori che comunque non si sono persi d’animo. Credono nella vita e nell’amore, visto che dopo Elena nel giro di pochi anni hanno avuto altri due figli. “Il cambiamento per noi è stato, in primo luogo, il suo arrivo con i relativi naturali timori dei genitori, derivanti dall’essere in grado di garantirle tutto il supporto necessario per la crescita sia essa fisica, psicologica che spirituale. Sapere della presenza di una malattia genetica rara ha ulteriormente (almeno inizialmente) aumentato i timori e le preoccupazioni.
Timori per le difficoltà che potrebbe incontrare la bimba nella sua naturale crescita, le sue difficoltà nello stare fisicamente al passo con gli altri (sarà destinata ad essere più piccolo di statura ad esempio…), limiti fisici che si riflettono nella sua crescita psicologica e relazionale. Preoccupazioni per la necessaria frequenza che dobbiamo garantire per la somministrazione della terapia, per il miglior supporto educativo che sia di aiuto alla costruzione di una personalità solida che vada oltre la malattia di un indirizzo positivo della vita a prescindere dalla malattia perché la vita è bella, e non si ferma alla malattia”.
Ecco la mamma di Elena centra il cuore del problema: la vita è bella e non si ferma alla malattia. La vita va oltre, la vita è oltre. Anche se tu non sei più come prima o non lo sarai. E se molte cose attorno a te cambiano. Perché chi si ammala di cistinosi vede molte cose cambiare tra quello che può fare, sport, alimentazione, vita sociale. “Cerchiamo di far fare alla bambina tutto ciò che le è possibile senza troppe limitazioni – dice ancora la mamma -: scuola a tempo pieno (ora è il suo “lavoro”) e attività sportiva (fa piscina due volte a settimana e altre due volte danza classica), eventuali uscite esterne con gli amichetti o familiari. Inizialmente, però, abbiamo evitato l’asilo nido soprattutto perché abbiamo cercato di evitare possibilità di contagio di eventuali malattie che rendono ancor più fragile il suo corpo; la bimba aveva necessità di assumere la terapia con regolarità per trovare l’equilibrio che le potesse garantire una continuità nell’assimilazione di cibo e farmaci. Inoltre, all’età di 18 mesi, si è reso indispensabile l’utilizzo di un sondino nasogastrico per garantire alimentazione sufficiente e continuità nell’assunzione terapia. Successivamente si è cercato un inserimento graduale nella Scuola Materna che potesse coniugare la terapia e la sua crescita relazionale. Purtroppo, non abbiamo sempre avuto indicazioni chiare e rassicurazioni forti da parte della scuola, che potessero garantirci l’assunzione della terapia della bimba attraverso il corpo docente. Abbiamo così chiesto l’Alec (Assistente Educativo Culturale) che potesse aiutarla nella gestione della poliuria, dell’inappetenza e dei vomiti frequenti; inoltre, doveva avere un occhio di controllo onde evitare che altri bimbi potessero
toccare il sondino nasogastrico che la bimba ha avuto sino a quattro anni.
Ora la bimba frequenta la Scuola Elementare e non ha alcun tipo di assistenza: si sta responsabilizzando nell’assunzione autonoma della terapia”.
Altro aspetto difficile, la terapia appunto. Da adulti la seguiamo da soli, ma da piccoli (e spesso anche da anziani) dipendiamo dagli altri. Elena poi ha un “calendario” fitto da seguire. “La bimba segue una terapia complessa, fatta di diversi tipi di sali, che la aiutano a mantenere un equilibrio acido-basico nel sangue, un farmaco per la pressione alta, un altro per ridurre la sensazione di sete e quindi la poliuria, la carnitina per rinforzare le cellule
muscolari, la cisteamina il farmaco che consente l’eliminazione dei depositi di cistina dalle cellule. E la maggior parte di questi, deve essere assunto ogni sei ore”. Tutto questo incide sul quotidiano, che è gioco forza diverso da quello degli altri bambini che Elena frequenta. E dei suoi genitori ovviamente. “La difficoltà maggiore è la gestione quotidiana: è necessaria l’organizzazione familiare/scolastica in base agli orari della terapia sia nella fase diurna che
nella fase notturna. Prendendo i farmaci ogni 6 ore non deve esistere stanchezza, sonno, lavoro o festa che non garantisce continuità e regolarità nell’assimilazione. La seconda maggiore difficoltà è di natura burocratica: non sempre le Asl garantiscono il rispetto del quantitativo dei medicinali prescritti nonché fluidità dei moduli burocratici… vi è molte volte necessità di ulteriore e continua documentazione per ritirare ciò che è prescritto”.
Elena resta però una bambina come tutti. Con i suoi pensieri, i suoi sogni, le sue paure. E chissà come immagina questo spettro della cistinosi. “Elena ha solo 6 anni – ricorda giustamente la mamma - e solo da poco ha iniziato a interrogarci sul perché è più piccolina delle sue amichette e sul perché deve prendere tante medicine. Lei ora sa che ha un problema renale, che i suoi reni non funzionano bene, e che dobbiamo aiutarli con le medicine. Questa spiegazione ancora le basta e le differenze con gli altri non sono ancora
percepite come un peso. È una bimba allegra, come lo sono le bimbe di sei anni, ma con una responsabilità in più”. E vien voglia di dire con una marcia in più.
Una famiglia che vive questa condizione è inevitabile che a volte si senta
sola, impotente, inefficiente. Come aiutarli allora? “La prima cosa che vorremmo chiedere è la continuità nell’erogazione dei fondi per queste patologie da parte dello Stato e delle Regioni: tante volte vi sono delle dichiarazioni o delle scelte burocratiche che creano disorientamento e perdite di energie. Vorremmo si istituisse un centro di riferimento unico sia per adulti che per bambini, centrando lo studio e la ricerca sulla patologia, coinvolgendo tutti gli specialisti che si occupano di tutti gli organi che la malattia colpisce. Vorremmo essere seguiti da un team collaborativo, e non da specialisti “solisti”: tutto ciò garantirebbe continuità di supporto a prescindere dall’età e maggiore specializzazione visto i maggiori casi (rari) che verrebbero studiati. Vorremmo ci fossero meno difficoltà burocratiche da affrontare, che il sistema fosse più lineare e i vari centri (ospedale-ASL-servizio farmaceutico-pediatra di base) comunicassero tra loro senza necessariamente l’intervento di noi genitori”.
Tratto da " Malattie Rare, i nostri figli raccontano" di Claudio Barnini, 27 febbraio 2019