26/07/2024
Kimberly, oggi 13enne, vive assieme a mamma Laura (funzionario azienda commerciale) e a papà P. (agente di polizia) a Villa Santina, paese della Carnia di 1600 abitanti in provincia di Udine. Kimberly (seguita a Padova dal dottor Enrico Vidal, a Roma dalla dottoressa Marcella Greco e a Montreal dal dottor Paul Goudyer) ha scoperto di avere la cistinosi quando aveva solo 10 mesi ed ovviamente si tratta di un vero e proprio spartiacque nella sua vita. “Era una caldissima settimana di luglio – racconta mamma Laura - e nostra figlia ha iniziato a non mangiare più e a bere tanta, tantissima acqua e a fare tanta, tantissima pipì. Inizialmente pensavo a un virus intestinale ma una notte ha quasi perso conoscenza a forza di piangere e così sono corsa in ospedale”. Un momento di crisi che è stato solo l’inizio di un peregrinare fra medici e strutture perché, come anche molte altre malattie rare, la diagnosi non è mai facile. “La bambina è stata ricoverata per degli accertamenti che inizialmente portavano i medici a sospettare un Diabete infantile”, dice, infatti, Laura che però aggiunge come nel suo caso la fortuna abbia giocato un ruolo quasi decisivo. “Uno dei medici assenti dall’ospedale i primi due giorni di ricovero, una volta rientrato in servizio ha subito sospettato qualcosa e per escludere quelli che da prima erano solo sospetti ha voluto fare degli accertamenti specifici e ha ribaltato la situazione. Diagnosi certa. Cistinosi”. Il momento della verità era arrivato. Finalmente, diremmo quasi. Perché è sì un momento devastante ma anche importante. Finalmente quei malesseri, quei disturbi della bambina avevano un nome. Kimberly convive da quasi 13 anni ormai con questa malattia. Certo, come dice Laura, “alla bambina le cose sono state raccontate per gradi, naturalmente in funzione all’età e alla sua capacità di comprensione. Non era mia intenzione nasconderle le cose anche perché è sempre stata una bambina molto intelligente e solo il fatto di dover assumere tanti famaci di giorno e di notte la rendeva “diversa” dagli altri bambini, pertanto piano piano ha saputo di vivere questa particolare situazione”. Una “diversità” dovuta anche al fatto che Kimberly deve seguire una particolare terapia che, per sua fortuna, è fondamentalmente invariata dal momento della diagnosi in quanto “assume un farmaco salvavita ogni 6 ore che ha la funzione di rigenerare l’organismo in seguito alla produzione di una sostanza tossica che lei produce 600 volte in più del dovuto e altri 7 farmaci tre volte al giorno di cui 3 durante la notte in più fa un’iniezione ogni sera. La maggior parte di questi servono a compensare tutto ciò che il suo metabolismo non è in grado di produrre o di assimilare attraverso il cibo”.
Tanti bambini hanno i giocattoli a far loro compagnia, lei ha anche tanti piccoli medicinali a venirla a trovare tutti i giorni. È spontaneo chiedersi quanto tutto questo abbia portato sconvolgimenti alla vita di Kimberly. E in quella di Laura e P.. “Inizialmente è stato davvero difficile da accettare come la nostra vita si sia trasformata in un modo che nessuno vorrebbe mai – racconta sempre la mamma -. Settimane, mesi di ricoveri ospedalieri con il costante dubbio che venga fatto tutto e non venga tralasciato nulla, con la costante sofferenza alla quale era costretta una piccola bimba di poco meno di un anno e con la consapevolezza che era solo l’inizio di qualcosa di cui ben pochi conoscevano l’esistenza e che anche quei pochi non sapevano tutto”. Ed ovviamente anche la sua vita, quella di Kimberly è cambiata subito. “Non c’era quella libertà assoluta che tutti i bambini hanno il diritto di avere, c’erano sempre dei limiti. Limiti ai giochi, limiti ai cibi, limiti ai movimenti. Lei ha iniziato a camminare a 3 anni e quando ne aveva poco meno di 2 aveva subito 16 fratture ossee”. Un altro capitolo doloroso questo, la sua fragilità. “Era di cristallo, si girava nel lettino, sbatteva contro le sponde e si rompeva qualcosa. Non è stato affatto facile. Il primo anno di scuola materna è stato il più duro. Era giusto che lei la frequentasse ma c’erano mille difficoltà per trovare una persona che le somministrasse i farmaci durante l’orario scolastico, prestando tra l’altro attenzione al fatto che non vomitasse tutto e rimanesse scoperta dalla terapia. Siamo arrivati a 25 dosi di farmaci in 24 ore. La frequenza a scuola era alternata a peridi di ricovero in ospedale e periodi di post ricovero a casa. Cinque/sei volte all’anno prendevamo l’aereo per andare a Roma all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, sapevamo il giorno della partenza ma mai quello del ritorno. Era sempre un’incognita”. Una vita fatta di viaggi, di speranze, di alberghi. “Sempre con le valige in mano, poche e con cose essenziali. Tanti farmaci. Qualche giocattolo. Il suo inseparabile orso. In ogni viaggio non mancava mai la mia preoccupazione prontamente camuffata. Ho sempre cercato di trasmetterle sicurezza e serenità, non mi sono mai lasciata andare di fronte a lei per non farla preoccupare, abbiamo affrontato tutto assieme in modo a volte spensierato ma con la mia consapevolezza che avrei dovuto crescere una bambina più forte delle altre. E così sta accadendo”. I bambini quando sono piccoli e malati ci fanno ancora più tenerezza, ma non è che quando crescono cambia il nostro atteggiamento di vicinanza, di sostegno. Da bravi genitori sappiamo che figli piccoli, problemi piccoli; figli grandi, problemi grandi. E con il crescere per i bambini aumentano infatti i problemi. Legati all’adolescenza, allo sviluppo sessuale, alla scuola. E ancora gli amici, lo sport, l’alimentazione: cose normali, anche nelle scelte, per tutti noi ma difficili e quasi sempre obbligate per chi sta male. Specie per una patologia così complicata. “Il passaggio dalla Materna alle Elementari ha portato dei cambiamenti in lei, ha cominciato a rendersi conto che la sua vita dipendeva dai farmaci e che non era come tutte le sue compagne di classe. Il Direttore della scuola è stato molto gentile con noi, ha fatto installare un piccolo frigo nel bagno degli insegnanti per poter tenere i farmaci e lei si è sentita subito inserita nel gruppo. È sempre stata ben accolta dagli insegnanti e dalla gran parte dei compagni. Aveva due compagni che le facevano da guardia del corpo quando saliva o scendeva le scale in modo che nessuno la travolgesse. Frequentava la scuola molto volentieri e lo fa tutt’ora nonostante il costante impegno di portarsi la borsa dei farmaci e di avere il cellulare che le ricorda cosa deve prende e quando deve farlo.
Nonostante la sua fragilità, ormai solo apparente, ho sempre voluto che facesse sport e fin da quando aveva 8 anni si dedica con costanza all’equitazione, al nuoto, all’arrampicata e al ballo Hip Hop. Riesce bene in tutte le discipline e pur essendo molto piccola e molto magra ha tanta grinta e tanta passione per queste attività. Comincia ad essere anche spericolata e devo dire che io sono sempre stata dell’idea che non andava cresciuta sotto una campana di vetro, anzi a volte abbiamo fatto viaggi ed esperienze che la gran parte dei suoi coetanei non hanno interesse a fare. Quando si tratta di andare in giro lo abbiamo sempre fatto con grinta e determinazione anche per farle capire che ore e ore di auto o viaggi in aereo non devono essere collegati esclusivamente a visite negli ospedali ma sono soprattutto un modo per conoscere altre realtà, piccole o grandi che siano, e soprattutto la facciamo per far si che lei sappia che nella vita potrà fare tutto ciò che vorrà nonostante la sua situazione. Dal punto di vista alimentare all’inizio soffriva di anoressia, fino ai tre anni non mangiava quasi nulla, poi ha iniziato a mangiare un po’ di tutto fino a quando ci venne consigliata la dieta aproteica. È stata dura, perché i carboidrati aproteici sono disgustosi e farlo capire ad una bambina di 5 anni non era facile. Quando mi accorsi che non si alimentava abbastanza e la situazione stava peggiorando sospesi la dieta. Iniziammo a seguire una dieta libera ma con poche proteine animali, quindi preferibilmente pesce e poca carne. Piano piano la situazione è andata migliorando e tuttora sa di dover fare attenzione alla quantità di carne che assume. Non è vegetariana ma ha una buona cultura alimentare e apprezza tutte le verdure e i cereali pertanto riesce ad alimentarsi in modo corretto. Ha una caratteristica alquanto bizzarra per una ragazzina di ormai 13 anni, non mangia dolci e da 3 anni a questa parte legge tutti gli ingredienti dei cibi per essere sicura di quello mangia, così dice”. Kimberly dunque cresce con la sua malattia. La sopporta. Ci convive.
Dimostra grande forza e volontà di andare avanti. Ma i genitori? Loro come vivono? Laura spiega che “la più grande difficoltà per lei, e di riflesso per me, è sicuramente legata al fatto di essere molto molto piccola, anche se proporzionata e non affetta dai lineamenti tipici del nanismo, è 4/5 anni più piccola della media. Questa cosa la disturba molto ma non per il fatto di essere piccola quanto per il raffronto con gli altri. La statura la limita in alcune relazioni sociali e a volte si rifiuta di fare delle cose per non mettersi a confronto. Sicuramente non è facile da gestire e non lo sarà nel prossimo futuro. Inoltre, essere legata all’assunzione di farmaci in qualunque momento e in qualunque luogo le crea del disagio che non sempre riesce a nascondere. Ha però un carattere piuttosto forte e questo le tornerà utile”. Ecco appunto la sua forza. Le sarà utile. Del resto, sa tutto di sè stessa ormai e di quel che l’aspetta in fondo ha meno paura. Ma Kimberly che racconti fa di sé e della sua malattia? “Sinceramente non ne parla, conosce bene la situazione e ormai sa tante cose che riguardano lei e i ragazzi con la stessa malattia, anche perché ha avuto modo di conoscerne alcuni sia in Italia che all’estero e con alcuni dei quali è parzialmente in contatto. Tra l’altro è sempre presente quando io parlo con i medici per cui sono ben poche le cose che ancora non conosce. Per quanto riguarda sé stessa lei si descrive sempre come una bambina felice, allegra e intelligente e che ha la quantità giusta di amici, non troppi per rischiare di trascurarne qualcuno e non troppo pochi per sentirsi sola”. Laura e P., con Kimberly. Una famiglia felice. Nonostante tutto. Nonostante la cistinosi. Un compagno di viaggio non richiesto e non desiderato da 13 anni quasi. La loro esperienza come quella degli altri diventa fondamentale per chi scopre di avere questa malattia o è più fragile nell’affrontarla. Oggi loro cosa si sentono di chiedere come familiari per migliorare la situazione dei malati di questa patologia? “Io ho avuto la possibilità di portare mia figlia anche all’estero per avere seconde e terze opinioni sulla situazione clinica, la cosa che ho notato nei nostri ospedali e che mi lascia un po’ l’amaro in bocca è la scarsa collaborazione tra gli specialisti che seguono questi ragazzi. Tutti lo sanno che non ci sono molti casi nel mondo figuriamoci in Italia, ma proprio per questo motivo ci dovrebbe essere una più ampia condivisione di informazioni tra medici e familiari e soprattutto tra medici e medici. Non è possibile che dal Nord al Sud ci siano tutte queste variabili, cliniche e burocratiche. Abbiamo un’associazione di pazienti e familiari di pazienti con questa patologia che non comprende tutti i casi nazionali perché alcuni non hanno interesse a partecipare e perché alcuni non sanno nemmeno dell’esistenza di questa associazione. Non abbiamo visibilità e questo ci limita un po’ nei nostri intenti. A mio parere il senso di un’associazione è quello di contribuire ad aiutare gli associati al proseguimento di uno scopo comune, nel nostro caso specifico quello di raccogliere e diffondere più informazioni possibili riguardanti la patologia in modo da affrontare un percorso individuale con un minimo di supporto coinvolgendo tutti, pazienti, familiari e medici”. Già perché uniti si vince.
tratto da " Malattie Rare, i nostri figli raccontano" di Claudio Barnini , 27 febbraio 2019